Due frammenti del poema virgiliano dell'Eneide costituiscono la struttura drammaturgica dello spettacolo di Anagoor, Virgilio brucia, opera dal sostrato letterario vario ed articolato.
Mentre giunge a Brindisi di ritorno dalla canicola ellenica per concludere il suo ultimo viaggio tra gli uomini, Virgilio comanda ai fidati Vario e Tucca di bruciare il manoscritto dell’Eneide: troppe lacune, una revisione mai ultimata, l’invasiva insoddisfazione che segue l’autentica poiesi lirica. Vario rifiuta apertamente di assecondare l’esiziale desiderio del poeta e sotto la spinta di Augusto – il quale è sicuro del profondo valore propagandistico e artistico dell’opera - pubblica il poema, solo superficialmente emendato e con un certo numero di versi incompiuti. Senz’altro Augusto, che già si prefigurava un componimento altamente encomiastico, come quello tratteggiato nel III libro delle Georgiche, dovette rimanere deluso dalla realtà dei fatti; nell’Eneide le imprese del princeps vengono declassate al rango di episodici richiami e sono sapientemente asperse sull’impianto mitologico dell’opera: nel VI libro Augusto appare nella folta schiera dei discendenti che Anchise indicherà al figlio; nel libro VIII su di uno scomparto dello scudo di Enea è raffigurata la battaglia di Azio, sulla quale effettivamente il poeta si sofferma con pieno spirito apologetico.
Altre in realtà erano state le problematiche che avevano assillato in quegli affannosi undici anni di stesura il poeta Virgilio: la diaspora di un popolo, la perdita degli affetti, l’amore debole contraltare della sofferenza che accompagna l’uomo in ogni istante della sua vita. Su insistenza di Ottaviano, nel 22 a.C., Virgilio si esibì in ben tre letture del suo poema. In tre distinte serate egli lesse rispettivamente: il II libro, con la vivida descrizione del rogo di Ilio; il VI libro con la discesa dell’eroe agli inferi per ritrovare il padre Anchise; il IV libro con la triste storia di Didone. Due di questi singoli frammenti del poema virgiliano, il II e il IV libro del vastissimo edificio lirico, vengono a costituire la struttura drammaturgica dello spettacolo di Anagoor, Virgilio brucia, andato in scena il 26 giugno al Castel Sant’Elmo per il Napoli Teatro Festival. Si tratta di un’opera complessa, il cui sostrato letterario è vario e articolato: Virgilio, Hermann Broch, Emmanuel Carrère, Danilo Kiš, Joyce Carol Oates. Lo spettacolo si articola in tre parti distinte: un proemio, la discesa agli inferi, il rogo di Ilio.
Nella parte proemiale abbiamo una scena praticamente vuota, fatti salvi alcuni microfoni montati su aste nere che, come antenne di insetto, tendono verso l’alto in attesa del vibrante nutrimento sonoro. Un’attrice legge in armeno un brano dal romanzo Morte di Virgilio di Hermann Broch, mentre su di uno schermo alle sue spalle scorrono i sottotitoli in italiano. L’effetto è straordinariamente evocativo, la distanza linguistica si esaurisce nell’incredibile potere ideopoietico della parola del romanziere austriaco e delle elegiache musiche di Mauro Martinuz. La lettura ci avvolge e ci trascina in un flusso diegetico coerente e a suo modo rassicurante, ma tale certezza percettiva viene frustrata dall’imprevisto cambiamento del mezzo espressivo: terminata la lettura l’attrice abbandona la scena mentre sullo schermo che fa da fondale vengono proiettate sequenze filmate di una scuola odierna in cui un giovane insegnante discute del colonialismo e del rapporto degli intellettuali con i modelli culturali che esso impone. Terminata la proiezione si ritorna all’azione scenica vera e propria: mentre un’attrice legge in serbo i versi di Danilo Kiš, Consigli a un giovane poeta, un altro gruppo di attori mima il rito della raccolta del miele tratto dal IV libro delle Georgiche di Virgilio, dove il microcosmo dei delicati insetti melligeni riflette il più vasto e complesso macrocosmo umano.
Si passa poi alla seconda parte dello spettacolo, la discesa agli inferi; qui le scelte registiche di Simone Derai si fanno ardite e inquietanti. Un nugolo di coreuti osserva atterrito una lunga sequenza filmata di nascite di animali di diversa specie; non si tratta di nascite naturali, ossia filmate in contesti che evochino nella maniera più naturale possibile il fenomeno della nascita, bensì di macabri assembramenti industriali di bestiame, soffocanti e meccanizzati semenzai di esseri viventi. Infine, si giunge alla terza e più suggestiva parte dello spettacolo, quella in cui abbiamo una vera e propria mise en scène di una delle letture virgiliane alla corte di Ottaviano. Il II libro dell’Eneide è declamato in latino dallo straordinario Marco Menegoni/Virgilio quasi nella sua interezza e nel rispetto rigoroso della scansione esametrica e della lettura scientifica. Ottaviano indossa un calco d’oro del suo stesso volto e impassibile ascolta il tormentato Enea/Virgilio rinnovare il dolore dei ricordi e al contempo quello della creazione poetica. La figura del poeta qui si fa non solo imago vivente e vivificatrice del sofferto parto della sua immaginazione, ma al contempo testimone, nel senso in cui può esserlo il messo della tragedia greca, di un evento terribilmente luttuoso avvolto in un ricordo di sangue e fiamme.